domenica 1 giugno 2008

Miti immortali al cinema

Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo: fosse uscito un anno dopo L'Ultima Crociata, ci saremmo sconvolti per l'impressionante salto tecnologico. E vabeh, direte voi, ma anacronismi a parte nessuno avrebbe storto il naso. A me Spielberg stomaca come un dolcetto cinese, però quando si impegna sa cosa vuol dire girare film: il recupero di stile ed atmosfere è perfetto, e non è un Indy appena appena imbolsito a togliere carisma a frusta e cappello. Io da bocia me li ero costruiti entrambi assieme al diarietto con le trappole per il Graal, ma modificavo anche i Lego per giocare a Guerre Stellari e il terzo episodio mi ha fatto sboccare, quindi non sono quasi mai un fanboy e di sicuro potete fidarvi se vi dico che non sono rimasto deluso. I russi sono i nazisti sfigati, ma c'è Cate Blanchett e un sacco di citazioni e tanta azione tanto cristallina da sembrare una coreografia di Busby Berkley. La verità è che c'è bisogno di film divertenti adatti anche ai bambini. Una volta se ne giravano di più, ora ci rimangono questo ed i Pirati dei Caraibi - non che ci sia da lamentarsi, ma tant'è. Qualcosa che sia innocente intrattenimento.
Una nota per i più micragnosi: bere dal Graal garantisce la vita eterna solo finchè non si superino i sigilli dell'Eterna Dannazione Bluastra Sul Coccige, come la morte della nazitopona bionda ci aveva già tristemente dimostrato.

Il Divo (Sorrentino): che non è Toni Servillo, anche se lo so che avete tutti il poster nell'armadietto.
Se Andreotti si è incazzato vedendo il film, dubito sia a causa di chissà quali accuse una ininfluente pellicola gli possa aver mosso. Sai che roba, il problema è che Sorrentino lo percula. Lo fa in ogni fotogramma, in ogni pezzo di colonna sonora. Quando incarna il divo Giulio che si sbarba attorniato dai pretoriani, o quando ne fa la testa (distratta) d'una lenta quanto solenne processione di uomini della scorta, quando - fin dal sottotitolo - lo dipinge col retino riservato ai supereroi, con cartelli che compaiono come le onomatopee di Hard Boyled ed una emicrania doppia e tormentosa che diventa la sua kryptonite; la corrente della DC che entra in scena come gli 88 Folli tarantiniani, il bacio con Riina e la sua musica. E' il solito Sorrentino il cui sguardo corrode tutto in geometrie astratte e universali che ricordano certe estetiche che il nostro cinema ha dimenticato da un trentennio, che quando sceglie una canzone lo fa per sconvolgere. Per poi commuoverti con scene d'una tenerezza infinita, con Giulio che sorride con gli occhi e noi con lui, a parteggiare istintivamente per quello che d'un tratto è l'eroe del film.
Va beh, basta apologia che sennò sembro un fanboy sì, ma di una roba che non vi aspettavate. Il film non è il migliore di Sorrentino, ma non era facile. Non era facile anche nel senso che questa è un'opera piuttosto coraggiosa, e pienamente riuscita e bilanciata, autoriale ed originale. Si era tirato in ballo Todo Modo, lo straordinario fanta-politico di Elio Petri, come ispirazione d'una resa non macchiettistica e astratta di personaggi ingombranti: è sbagliato, non siamo su quel piano, quanto su uno molto più umano ed in toni di grigio, come ci insegna lo stesso Andreotti in una delle numerosissime citazioni sulle quali la pellicola è costruita.

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