venerdì 30 maggio 2008

Krazy & Ignatz (un fumettone di 100 anni fa)

Per il mio battesimo su questo blog, vi presento Krazy & Ignatz, strip disegnata da George Harrimann nella prima metà del 1900, e considerato da molti la più grande striscia di sempre.

Krazy e Ignatz sono un gatto "pazzo" ed effeminato, e un topo che è l'archetipo del grattachecca dei Simpson.




Lo humor del fumetto si basa su continui giochi di parole, aiutati dalle storpiature di Krazy (dal cui linguaggio sgrammaticato attingono i gatti di molte vignette che spopolano su internet, in particolare 4chan). Equivoci, giochi di parole, azione fulminante si fondono sia nel "parlato" che nei disegni di Harriman, stilizzati e onirici, i cui particolari cambiano ad ogni vignetta.
Krazy, eccentrico e senza una chiara identità sessuale, è innamorato del topo Ignatz, novello Caino che lo prende a colpi di mattone. Il rapporto morboso tra i due dà luogo a equivoci, ironia e satira del primo '900. Per Krazy il mattone è un messaggio d'amore (vedi "Lettere d'amore in mattone antico"), per Ignatz un dovere.
Completa il triangolo il cane poliziotto, Offisa Pupp, che incarna il probizionismo dei tempi, ed è innamorato di Krazy, che difende dagli assalti di Ignatz con dubbi risultati.
I livelli di lettura sono molteplici, la raffinatezza palpabile. Il fumetto è poco conosciuto in Italia, e la produzione, antecedente al 1916 e continuata fino al 1944, non è mai stata raccolta interamente, neppure in America. Krazy & Ignatz fu pubblicato in gran parte sul quotidiano New York Herald (lo stesso del capolavoro Little Nemo, di Windsor McCay) del magnate William Hearst, incurante delle proteste dei lettori meno colti, che non sempre capivano il genio della striscia.
In Italia, la casa editrice Coconino deve il suo nome alla contea americana da cui prendono vita le vicende di Krazy.
Harrimann, di origini afroamericane ma dai tratti somatici mediterranei, non rivelò mai la propria etnia per poter continuare a pubblicare la striscia, in un'epoca in cui essere di colore significava diventare oggetto di discriminazione.
Le tavole domenicali di Krazy & Ignatz sono pubblicate in Italia da Free Books, al costo di circa 11 euro per volume. Ogni volume comprende due anni di tavole domenicali. Sono usciti tre volumi, dal 1925 al 1930, al ritmo di uno all'anno.
L'adattamento in italiano è ottimo, ma leggere Krazy & Ignatz in inglese è tutta un'altra cosa, e permette di godersi molti giochi di parole andati persi nella traduzione.

Tony

lunedì 26 maggio 2008

Vi starete forse chiedendo

-Perchè gli spin off assurdi sono la cosa migliore della Marvel: scopro che non è mica solo un'idea mia. Il fan medio irride probabilmente testate nobili come, non so, Topolino o Zio Paperone. Il ricco palmipede può anche sposare l'infoiata Brigitta, ma la settimana dopo lo ritroveremo scapolo impenitente come niente fosse successo. Masturbazione, una cosa che il fan Marvel conosce bene, e della quale sento anche io di poter parlare con una certa consapevolezza: perchè le storie Marvel funzionano nello stesso modo. Il bamboccio con le mani appiccicose di Coca Cola può anche usarle per girare spaventato la pagina dopo la quale Silver Surfer morirà, ma tanto lo sa che poi torna. Questa non è narrativa. La Vertigo fa narrativa, la Marvel pippe che non sono migliori di Uomini & Donne. In più stare dietro alla continuity è francamente improponibile, ed i Grandi Eventi che dovrebbero fare da porta d'accesso sono operazioni talmente risibili e dollarovore da poter servire solo al fan che si bagnerà il pisellino perchè l'Uomo Ragno si toglie la maschera che tanto poi arriva il Mephisto. Cambiare tutto per non cambiare niente è un metodo del cazzo di scrivere storie.
Anche usare battute scontatissime sulla masturbazione lo è, quindi continuate pure a comprare Marvel che non si sa mai che per sbaglio beccate un albo fico.

-Colare idee come un panino ben fatto non è una metafora. Un panino ben fatto drippa - non droppa, wowfags - e vi macchia i pantaloni. Altrimenti non l'avete fatto bene.

Sette Soldati della Vittoria – Grant Morrison e AAVV

La Slaughter Swamp. Neh-Buh-Loh, il cosmo sapiens. Una lancia che sferza il tempo fino a colpire millenni dopo. Divinità algoritmiche, zombie cannibali su Marte. Escapisti che fuggono dai buchi neri. Gloriana Tenebrae, la regina delle fate.

La DC, che sappiamo tutti essere la cugina strana della Marvel, aveva un po’ di personaggi cui voleva dare una ricolorata. E qua il discorso diventa complicato, perché ha chiesto a Morrison di farlo per lei: ora abbiamo sette miniserie, un numero zero ed un numero uno. Senza nessuna menata alla Animal Man, o chissà quale allegoria dantesca: solo intrattenimento di lusso, individui in calzamaglia – chi più chi meno, Frankenstein sembra più un ussaro – attori di una storia complessa e tridimensionale che cola idee come un panino ben fatto. Non è lecito che faccia altre anticipazioni: diciamo che se seguite il mondo DC, questa è la sua Civil War, ma senza Wolverine e senza la morte farlocca di Capitan America. Se non lo seguite, fa niente: non serve. Basta che abbiate voglia di leggere una bella storia.

Tanto per aiutarvi, vi riporto l’ordine di lettura suggerito da Morrison stesso, sufficiente da sé a vendere il prodotto e molto diverso da quello seguito nella comunque buona pubblicazione Planeta; niente che non poteste trovare da soli su Google, ma se non sapete che qualcosa esiste magari non vi viene neanche in mente di cercarlo: Seven Soldiers 0, Shining Knight 1, Guardian 1, Zatanna 1, Klarion 1, Shining Knight 2, Guardian 2, Zatanna 2, Klarion 2, Shining Knight 3, Guardian 3, Zatanna 3, Klarion 3, Shining Knight 4, Guardian 4, Mister Miracle 1, Zatanna 4, Klarion 4, Bulleteer 1, Frankenstein 1, Mister Miracle 2, Bulleteer 2, Frankenstein 2, Mister Miracle 3, Bulleteer 3, Frankenstein 3, Mister Miracle 4, Bulleteer 4, Frankenstein 4, Seven Soldiers 1.

Un soldato morirà. Sarà Barnabus, il Re degli orsetti?

Quando la graphic novel si fa chiamare fumetto

è segno che non si sta prendendo tanto sul serio. Street Angel (Brian Maruca - Jim Rugg) e Nextwave - Agents of H.A.T.E. (Warren Ellis - Stuart Immonen) mica si offendono se li chiami così. Il secondo è una serie Marvel per ora interrotta perchè mantenere Immonen costava troppo, nella quale un Ellis senza freni mette in scena una gang bang di supereroi poco famosi in cui ognuno ha il suo ruolo classico da distruggere: c'è il robot, quello coi poteri alieni - Capitan ****, l'unico inventato - la bionda che fa scoppiare le cose, la rossa con la pietra magica di Bloodstone, per finire con quella Monica Rambeau che nei Vendicatori c'è stata davvero. I cinque sono braccati da Dirk Anger, direttore dell'Highest Anti Terrorism Effort dal quale si sono ammutinati - che non è una parodia maniaco-depressiva di Nick Fury, e che sostanzialmente a differenza loro se ne frega di chi gli dà i soldi. Nel tentativo di curare l'America, i nostri si vedranno lanciare contro koala cannibali, i soliti ninja e pirati, broccoli delle risorse umane, giganteschi draghi dai calzoncini viola e altre cose molto più fiche che non vi dico, concludendo così nel mistero la mia solita lista di buoni motivi per leggere questa roba. Una lista che sostanzialmente potrei ripetere anche per il monografico Street Angel, storia della piccola ma potente senzatetto Jesse Sanchez, che combatte forze del male, nepotismo, ninja e fame con uno stile grafico straordinariamente dinamico e pieno di trovate che se aprite l'albo decidete sicuro di comprarlo. I Nextwave li avete già visti almeno nel secondo Marvel Zombies - sarà una mia idea, ma questi spin off assurdi sono le sole cose degne di nota della celebre casa americana. Street Angel andatevelo a cercare finchè ce n'è.

lunedì 19 maggio 2008

Questa settimana al cinema

Gomorra (Matteo Garrone): siamo di nuovo al neorealismo? Toni Servillo come Anna Magnani o una cosa così? Per me va bene. Non è lecito tracciare un parallelo tra la situazione sociale dell'epoca e quella attuale, ma la transizione che sembra lentamente verificarsi dal cinema dei trentenni in crisi ad uno di interesse più sociale è innegabile. Garrone e Sorrentino come Rossellini e De Sica, si spera con più successo: il cipiglio è quello, ed ho visto distinti padri di famiglia lamentarsi del pessimismo di questi film, della loro ironia acida e delusa come lo sguardo di Titta di Girolamo. Al pubblico non piace sentirsi dire che va tutto male anche al cinema, neppure se ha la pancia piena e alla guerra mondiale non ci pensa.
Ma mica c'è da fare la morale a nessuno: dopo due ore di canzonette neomelodiche, raffiche di testosterone sventagliate da parodie diversamente italiane di Tony Montana, improbabili architetture postatomiche e una storia sfilacciata che non c'è neanche il finale mi ero rotto le balle anche io.

Il merito di questo film è un altro, ossia rispondere alla vecchia domanda di Giobbe Covatta: "Signore, capisco Sodoma, città di sodomiti. Ma Gomorra?".

Saw IV (uno il cui nome non ha importanza. Anzi sì, è Darren Lynn Bousman e li sta facendo tutti lui): ritorna la mia saga preferita dopo quelle di Jacopetti e Prosperi ed i cartoni della Stardust, nel suo episodio più importante: quello in cui si vede il pene dell'enigmista. Come infatti è noto, l'esposizione dei genitali maschili (se siete Pasolini) o del seno della protagonista più desiderabile (se siete Altman) è la discriminante tra puttanata e film d'autore. Guadagnato questo ambito status, il film ci racconta cosa è successo mentre eravamo distratti a guardare lo scorso episodio. Nel farlo, non si risparmia di costruire attentamente nuove incongruenze che verranno chiarite solo nel prossimo, secondo una formula ormai vincente. La regia è come di consueto modernissima, e Bousman si conferma attento esegeta di Se7en e dei reportage dalle zone terremotate cinesi.

Cosa ci insegna Saw IV: il verde è il complementare del rosso, che è poi il motivo per cui i camici dei chirurghi sono di questo colore - quelli di Nip\Tuc hanno sicuramente problemi alla vista; quando scrivi una colonna sonora che può fare la storia, semplicemente ne sei conscio e la usi ogni volta che puoi; se al quarto episodio una serie ancora regge, ci sono tutte le possibilità per tirarla più alle lunghe anche di Venerdì 13. E Saw regge, io mi son divertito. L'autopsia è fichissima.

martedì 13 maggio 2008

Tiny Objects are Afraid in Wide Rooms

Il buonissimo Riccardo Pittaluga ha realizzato un videoclip per un mio pezzo, questo Tiny Objects are Afraid in Wide Rooms che tanto mi ha tenuto impegnato ultimamente.

La clip la trovate qua, ma vi invito a visitare tutto il sito perchè ci sono dei lavori davvero ben fatti.

Per quanto riguarda il pezzo, ho cercato con poco successo di giocare con la percezione. Il risultato è un'evoluzione ambient-industrial-drill costruita interamente con registrazioni dal mondo reale, ad eccezione del drone basso (sintetico).

Ci trovate un po' di tutto: lavandini, pesci meccanici, wonk da cucina, pentole di latta, bicchieri, concertine da sala operatoria. La batteria finale è una chitarra.

Ho usato quel che avevo: uno Shure SM57, Cubase, Live.

Sono contento? Sì, sono contento dai. Presto tenterò di evolvere questo concetto nel modo in cui era inteso all'origine, in una risposta allo Stanze di Berio.

Roba che non ho pagato

Ebu Gogo - Worlds: la definizione di zeuhl è proprio sbagliata, questi fanno prog rock (metal?) dadaista. Il disco non è bello, ma l'incestuosità kitsch-eclettica un po' Mr.Bungle - un po' ragazzini con la maglietta dei Dream Theater sì, come il fortuito incontro tra un ombrello e un'edizione giapponese dei Tool e qualche altro complemento di arredamento tipo non so delle presine.

Li Jianhong - San Sheng Shi: la Cina si riconferma il Giappone degli sfigati con il suo noise meno fico di quello di Masami Akita. Voglio dire, niente bondage, niente sangue dalle orecchie, è una roba che si può quasi sentire.

Caparezza - Le Dimensioni del mio Caos: importanti oltre che socialmente utili. Ci si divertono grandi e piccini.

Nine Inch Nails - The Slip: Trent ormai è come lo zio d'America e ci regala un sacco di cose. E quindi chi se ne importa se la produzione è altalenante e i pezzi non proprio originalissimi se ci fa sentire all'epoca della spirale discendente e ci scrolla dopo i trentasei fantasmi della noia passata - no dai, scherzo, Ghosts è fichissimo, però tutto di fila non ce la si fa.
Comunque questo è un disco di cui tanti diranno bene solo perchè è Reznor, ma altrettanti diranno male per lo stesso motivo e ci saranno x fan delusi per y fan estasiati, quindi sostanzialmente non conta un cazzo.

Have a Nice Life - Deathconsciousness: cosa avete fatto voi in cinque anni? Io un sacco di roba, mentre questi hanno tentato di fare il disco più deprimente della storia del rock. Mica male eh, alla faccia vostra emokids, ci sono anche riusciti ma nel modo sbagliato. Diciamo che il problema fondamentale di un disco sostanzialmente ben fatto è che in cinque anni quel che han fatto è stato riscrivere lo stesso pezzo un po' di volte, affogarlo nel riverbero, aggiungere qua la distorsione, qua il riverbero, e là tutti e due, e il risultato è che non si sente la voce e la cassa clippa.

Autistic Daughters - Uneasy Flowers: il vialetto che la notte deglutisce. Molto meglio di quegli altri, un disco che può far male.

Make Believe - Goin' to the Bone Church: punk math rock? Cinque volte meno arrapanti dei Battles, tre più dei These New Puritans, dodici volte meno folli dei Giraffes? Giraffes! ai quali li avvicino solo perchè volevo scriverne il nome.
Con un sacco di chitarra pulita.

Grave Temple - The Holy Down: una messa nera. La Southern Lord ormai è l'etichetta da citare all'amico brutallaro.

Worm is Green - Automagic: un po' Lali Puna, un po'elettronica carina, un po' frühstücken rock. Dolci ^^

sabato 10 maggio 2008

Sum porn


Questo è il mio studio.
E' uno studio molto carino con un giardino tutt'intorno.

From Hell

From Hell è grosso, maiuscolo, l’elenco telefonico di Londra come SERPENTI E SCALE era quello della Northampton di Alan Moore: un reticolo di nomi e piani temporali che il sedicente mago sfoglia, come William Gull sulla sua carrozza in giro per monumenti. Il dottor William Gull: fidato medico di corte, e Jack lo squartatore. Non frignate, Moore non vi nasconde niente sin dal primo rettangolo: la Storia è lì, e come in RISING STARS invece di svelarsi si amplifica. Non è IL COMPLOTTO (Will Eisner, grazie al quale chi si legge i fumetti oggi li può chiamare arte sequenziale) a costituire l’orgasmo dell’opera: è una scopata tra infermieri di fronte ad un Gull morente, apice del rito che egli stesso, massone toccato da (un) dio, compì usando la sua Londra come altare – PROMETHEA ritorna in tutto ciò che Moore combina. L’obelisco, il sole, il sangue. Una visione futura farneticante di un vecchio che sapeva troppo, dell’Inghilterra in bianco e nero di V FOR VENDETTA, del XX secolo di MAUS, del trionfo del dionisiaco: un BLACK HOLE nel quale l’individuo è perso e si chiede «perchè». Moore costruisce questo assieme ad un Eddie Campbell sudicio come la materia che trattano, in uno stile cinematografico che non va (non è possibile) al di là di WATCHMEN, ma che ipercomprime storia ed esoterismo in seicento pagine da nove vignette l’una - come un FELL che sia in grado di porre di nuovo le basi della graphic novel contemporanea.

(pubblicato originariamente su L'Imminente)